C’è qualcosa di straordinariamente umano nella voglia di festeggiare.
Che si tratti di un compleanno, di un anniversario, dell’inizio di una nuova stagione o anche solo di una data simbolica, c’è dentro di noi una spinta dolce e quasi viscerale a fermarci, a prendere fiato, a segnare il tempo con un gesto.
Come se quel giorno, tra tutti, meritasse un po’ più di luce, di attenzione, di presenza.

Ce lo siamo chieste anche noi, che scriviamo in questo piccolo angolo di pensieri condivisi chiamato Le Blogger Siamo Noi.
In questi giorni abbiamo soffiato su 8 candeline, il primo maggio, mentre fuori i fiori sbocciavano e l’aria si faceva più leggera.
E ci siamo chieste davvero: perché festeggiamo i compleanni? Perché diamo così tanta importanza a una data che ritorna?
Il tempo ciclico e il ritorno delle ricorrenze
La risposta non è semplice, ma ha qualcosa a che fare con il ritmo.
Il tempo, ci siamo dette, non è solo quello che vediamo sull’orologio o segnato nei calendari.
Esiste un tempo più profondo, più vicino alla nostra natura, un tempo che non scorre in linea retta ma gira in cerchio, come la terra intorno al sole, come le stagioni.
Questo tempo ciclico non va da un punto A a un punto B bensì ritorna. Torna su se stesso, ripassa dagli stessi luoghi, si ripresenta, si rinnova.
Ed è in questo tempo ciclico che abitano le ricorrenze. Un compleanno, per esempio, è il ritorno esatto di un giorno che ci appartiene.
Non è solo “un anno in più”, è il momento in cui la terra, dopo il suo viaggio intorno al sole, si ritrova di nuovo nello stesso punto di quando siamo venuti al mondo.
È come se il mondo intero, quel giorno, facesse un piccolo cenno d’intesa e ci dicesse: “Sì, sei ancora qui. Ancora una volta.”
Il valore simbolico delle ricorrenze
Nel festeggiare, allora, celebriamo questo ritorno.
Non tanto l’avanzare del tempo, che a volte ci mette ansia e malinconia, quanto il fatto che qualcosa – noi, il nostro stare al mondo, il nostro esserci – continua.
Siamo parte di un ritmo, di una danza, di un ciclo. E forse è proprio questo che ci consola, che ci fa sentire al nostro posto.

Abbiamo bisogno di queste certezze. In un mondo dove tutto cambia così in fretta, dove le notizie durano una manciata di ore e le stagioni sembrano accorciarsi, le ricorrenze diventano un punto fermo.
Ed ecco il perché festeggiamo i compleanni, ogni compleanno è una piccola ancora, un momento in cui possiamo dire: “Ecco, è passato un altro giro ed io ci sono ancora.”
Non è solo un bilancio, è un respiro. Un’occasione per guardarci allo specchio e riconoscerci, anche solo per un attimo.
Quando festeggiamo un anniversario – d’amore, di lavoro, di vita – facciamo qualcosa di molto simile. Diciamo: “Eccoci. Ancora qui.” È un gesto di presenza, di resistenza, ma anche di fiducia.
Perché celebrare una ricorrenza vuol dire credere che ci sarà ancora un ritorno, ancora un altro giro.
Il tempo è movimento, non linea
Ci siamo anche chieste se, in fondo, il tempo esista davvero. A volte sembra più una convenzione che una realtà.
Un modo per misurare lo spazio che percorriamo, come quando diciamo che per andare da un posto all’altro ci vuole un’ora.
Ma il tempo, forse, è solo il movimento dello spazio, della terra, delle cose. La terra gira e noi con lei, ma siamo sempre nello stesso presente.
Questa riflessione ci ha fatto sorridere, perché cambia completamente il modo in cui vediamo le ricorrenze.
Non sono tappe su una linea che va avanti, ma finestre in un presente continuo. Occasioni per fermarci e guardarci intorno.
Per prendere coscienza. Per ringraziare.
Il compleanno come rito di esistenza
Il compleanno, in questo senso, è una delle ricorrenze più intime e profonde.
È il giorno in cui ci ricordiamo che siamo nati, ma anche che siamo stati accolti. Perché nessuno nasce da solo. Quel giorno, tanti anni fa, c’erano delle mani pronte ad accoglierci.
Una madre, forse un padre, degli occhi che ci hanno visto per la prima volta. E ogni anno, quando lo celebriamo, non stiamo solo festeggiando un’altra candelina.
Stiamo dicendo: “Sì, quella nascita conta ancora. Quella vita continua.”
Ecco perché ci piacciono i regali, le torte, le candele. Non sono oggetti frivoli. Sono simboli.
Ogni dono dice: “Ti vedo. Sono felice che tu esista.” E in un mondo dove spesso ci sentiamo invisibili, dire e sentirsi dire una cosa del genere ha un valore immenso.
Ritmo naturale e memoria collettiva
Le ricorrenze non sono tutte personali. Ce ne sono alcune che condividiamo, che sono legate al ritmo della natura. Le stagioni, i solstizi, le feste della terra.
Anche se viviamo in città e compriamo cibo importato da ogni parte del mondo, sentiamo ancora l’eco di quei tempi antichi in cui si viveva secondo i cicli del raccolto, della luna, della luce.

Una ricorrenza in primavera ha un’energia diversa da una in inverno. C’è la luce, il calore, il risveglio.
E questo non è solo un effetto del meteo: è qualcosa che il nostro corpo e il nostro cuore sentono. È memoria, è connessione con qualcosa di più grande, di più antico.
Il coraggio di festeggiare
In fondo, festeggiamo per sentirci vivi. Per ricordarci che ci siamo, qui e ora. Che abbiamo un corpo, delle emozioni, delle relazioni. Che il tempo passa, ma che noi ci siamo dentro, pienamente.
Festeggiare non è solo divertimento. È presenza. È consapevolezza. È accettazione.
A volte festeggiare è anche un atto di coraggio. Fermarsi richiede forza. Guardarsi indietro, affrontare magari momenti difficili, è un gesto che ha bisogno di una certa dose di verità.
Eppure, proprio lì, dove mettiamo lo sguardo, nasce la bellezza. Quando diciamo “Auguri”, stiamo dicendo “Ti voglio bene”. E non è poco.

Il rito come risposta al caos
Viviamo in una società che ha perso molti dei suoi riti. Eppure li cerchiamo, li reinventiamo. Perché il rito è un gesto che dà senso.
Trasforma un giorno qualunque in qualcosa di speciale.
La tavola apparecchiata, la candela accesa, il messaggio inviato a mezzanotte. Sono tutti piccoli riti personali, modi per dare dignità al tempo che viviamo.
Articolo scritto da Eli
Immagini create con AI