Cannes 78: Il corpo, la memoria, e il nuovo sguardo del cinema
Amici lettori, oggi abbiamo il piacere e il privilegio di parlare di cinema con chi, il cinema, lo conosce bene. Gianluca Arnone non è solo caporedattore della Rivista del Cinematografo, il più antico periodico italiano dedicato al cinema, ma anche coordinatore delle attività editoriali della Fondazione Ente dello Spettacolo e consulente per la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, dove contribuisce alla selezione e all’analisi delle opere in concorso.
Insomma, lui è uno che di cinema ne mastica tutti i giorni. E sarà proprio lui a farci sedere sulle poltroncine rosse del Festival del Cinema di Cannes per raccontarci i film in concorso.

A – Ciao Gianluca, innanzitutto ti ringrazio per la tua disponibilità e ti chiedo subito: ci sono delle tematiche che sono emerse in modo particolare dai film in concorso quest’anno o noti una tendenza stilistica comune?
G – Sì. Cannes 78 ha mostrato un cinema che, più che raccontare il presente, lo interroga.
Due le direttrici forti: il corpo come campo di battaglia – fisico, politico, simbolico – e la memoria come spazio di resistenza.
Stilisticamente? Ritorni consapevoli: flashback, voice-over, danza, split screen. Non nostalgia, ma archeologia emotiva. Il cinema non cita, scava.
E lo spettatore smette di essere testimone passivo: diventa corpo implicato, anche solo per un battito.

A – Ci sono registi emergenti che, secondo te, stanno ridefinendo il linguaggio del cinema d’autore?
G – Assolutamente. Più che emergenti, veri spostatori di sguardo. Sirât di Oliver Laxe non è un film, è una trance spirituale su pellicola.
Mascha Shilinski, con Sound of Falling, lavora per accumulo di memoria e silenzi. Carla Simón con Romería fonde lutto, viaggio e immaginario, portando l’intimo al livello del rituale.
Lapid continua il suo sabotaggio visivo con Yes. Bi Gan dilata il tempo e lo trasforma in visione liquida.
E poi ci sono i nuovi maestri: Julia Ducournau, con Alpha, spinge il corpo oltre ogni limite; Mendonça Filho, con El agente secreto, costruisce un cinema che è archivio e lotta.
Tra le folgorazioni della Semaine: Nino di Paula Loquès, poesia urbana; Reedland di Bresser, un noir rarefatto e spirituale.
Non cercano la forma perfetta, ma dove l’immagine smette di rappresentare e inizia a interrogare. E quando succede, il cinema cambia la nostra postura nel mondo.

A – C’è qualche ensemble regista-attore che quest’anno ha davvero fatto scintille?
G – Due esplosioni perfette. Kleber Mendonça Filho e Wagner Moura: in O Agente Secreto, regista e attore costruiscono un thriller della memoria dove ogni gesto diventa documento politico.
Joachim Trier invece orchestra un quartetto formidabile in Sentimental Value: Skarsgård, Reinsve, Fanning, Wilmann.
Rimorso, ironia, disarmo, vertigine. Il film pulsa come una camera oscura emotiva. Quando il cinema è relazione viva, non serve altro.

A – Se dovessi dare la Palma al film più “coraggioso” per tematica o linguaggio?
G – La Palma è andata a Un simple accident di Panahi, ed è un gesto politico prima che artistico. Girato in clandestinità, racconta l’orrore della tortura con sguardo spiazzante.
Ma io facevo il tifo per Sirât. Perché Laxe non firma un film, ma una soglia mistica in 16 mm.
Un viaggio sensoriale e spirituale tra rave e deserto, dove non si capisce: si cade. È un atto di fede visiva, senza rete, di una bellezza che spiazza e stordisce.

A – Quale attore o attrice emergente diventerà, secondo te, il prossimo grande nome internazionale?
G – Renate Reinsve è ormai a un passo dalla A-list: Sentimental Value conferma tutto. Mélissa Boros, tredici anni e un body-horror come Alpha sulle spalle: pura magnetismo.
Nadia Melliti, premiata per La petite dernière, è una rivelazione folgorante. E Josh O’Connor, con due film in Concorso, dimostra una versatilità che lo proietta stabilmente tra i grandi.
Se dovessi puntare? Reinsve e O’Connor sono già lì. Boros e Melliti potrebbero riscrivere il futuro.
A – Qual è la percezione del pubblico e della stampa rispetto alla qualità media della selezione di Cannes 78?
G – Altalenante ma mai piatta. Nessun capolavoro unanimemente acclamato, ma tante scosse, aperture, rischi veri. E, cosa rara: nessuno si è annoiato. E questo, a Cannes, è già una vittoria.

A – Hai notato innovazioni interessanti nella selezione ufficiale 2025?
G – Sì, e non da poco. Per cominciare: 9 registi su 21 erano al loro primo Concorso – un ricambio generazionale reale.
Le barriere tra sezioni si sono fatte porose: il Concorso era a tratti più audace della Semaine.
E poi la consacrazione definitiva delle label indipendenti – Neon, MUBI, A24 – come veri architetti del festival. Anche sul piano tecnico, torna la pellicola, tornano i formati misti: scelta estetica, non nostalgia. Segno che Cannes resta classico, sì, ma sa aggiornare il proprio DNA senza rinnegarlo.
A – Il Festival di Cannes 2025 ha saputo intercettare il momento storico-culturale?
G – Sì, con chiarezza. La Palma a Panahi è stato un atto di resistenza più che di cinema. Ma accanto all’urgenza politica, Cannes 78 ha saputo ascoltare anche il tempo lungo della memoria: O Agente Secreto, Sentimental Value, Romería lavorano sull’archivio, sui ritorni, sulle immagini che riemergono dal buio.
E poi ci sono i film-rituali, come Sirât e Sound of Falling, che oppongono alla bulimia visiva la lentezza, la materia, il corpo. Il festival ha risposto con immagini che prendono posizione, e lo ha fatto proprio nel momento in cui ne avevamo più bisogno.

A – Una presenza femminile importante alla regia: cosa ne pensi del debutto di Scarlett Johansson e Kristen Stewart?
G – Non molto sinceramente. Se non che sia Scarlett Johansson che Kristen Stewart restano due attrici di talento straordinario, capaci di attraversare registri e generi con disinvoltura e profondità. E mi fermo qui.
Bene, dopo aver salutato Gianluca e averlo ringraziato per la sua grande disponibilità, ci fermiamo qui anche noi.
È stato un viaggio entusiasmante che ci ha permesso di capire qualcosa in più di tutto quello che si muove all’interno del mondo degli addetti ai lavori e sicuramente ci ha fornito un’ottica diversa.
Siamo davvero ansiose di sapere cosa ne pensate e se vi piace l’idea di una nuova incursione, a settembre, alla Mostra del cinema di Venezia.
Articolo scritto da Ary